All'evento 'Vendere moda oggi', il numero uno di Federazione Moda Italia: la crisi non durerà per sempre

28/10/2014

All'evento 'Vendere moda oggi', il numero uno di Federazione Moda Italia: la crisi non durerà per sempre
Il Presidente Renato Borghi con Carmen Zapparoli

Un incoraggiamento, pur con qualche sferzata, al Governo nel proseguire sulla strada delle riforme; l’appello per la lotta alla contraffazione troppo debole da parte dell’Unione Europea; l’incoraggiamento ai commercianti perché la crisi non può durare per sempre. Sono alcune delle linee dell’energico intervento con cui Renato Borghi, presidente di Federazione Moda Italia e vice presidente di Confcommercio, si è rivolto alla platea che ha partecipato al seminario “Vendere Moda oggi” organizzato questa mattina al centro congressi Mamu da Federazione Moda Italia – Confcommercio Mantova e Camera di Commercio. Imprenditori del commercio, ma anche produttori e forze dell’ordine, tutti interessati al tema della lotta alla contraffazione e al nuovo regolamento in materia di etichettatura di abbigliamento e calzature.
Una voce autorevole, quella di Borghi, a capo di quella che, con le sue 35mila imprese associate, è la più importante organizzazione di rappresentanza del dettaglio e ingrosso dei settori abbigliamento, tessile per arredamento, tessuti, pelletterie, accessori e articoli sportivi.

L’INTERVENTO DI RENATO BORGHI

La lotta alla contraffazione

La contraffazione è un fenomeno che non conosce crisi, al contrario del commercio regolare. È un danno grave per lo Stato con cinque miliardi di mancate entrate, ed è un furto per le imprese, soprattutto quelle che si vedono rubato il frutto di ricerca, talvolta di genialità talvolta. Contraffare un marchio è, anche dal punto di vista etico, un reato molto grave, anche se tendiamo a sottovalutarlo. Nella Divina Commedia Dante schiaffava i contraffattori nell’ottava bolgia, tra sofferenze inaudite, perché rubare un’idea è davvero un atto spregevole.

Ed è anche un crimine per la società, perché ormai la relazione tra contraffazione e criminalità organizzata è riconosciuta da forze dell’ordine, magistratura, autorità nonché da numerosi studi. È un fenomeno estremamente difficile da contrastare e rispetto al quale nessuno può chiamarsi fuori dalla responsabilità, a partire dalla politica e dalle istituzioni.

In primo luogo l’Unione Europea: non c’è un unico regolamento, un’unica legge per definire questo tipo di reato e colpirlo, non c’è una strategia comune. Sono 25 anni che i rappresentanti dell’Italia cercano di fare passare una legge sul “Made in”, senza riuscirci. C’è un conflitto continuo e perenne tra “l’Europa della birra e l’Europa del vino”. L’Europa del Nord non ha una produzione di valore da difendere e nemmeno un tessuto commerciale come il nostro così ricco di pluralità, bensì appiattito sulla grande distribuzione, al contrario dei Paesi del Mediterraneo, come Italia, Francia, Spagna e Portogallo, che hanno produzioni di valore e una distribuzione commerciale da difendere.

C’è un unico soggetto che non ha alcun tipo di responsabilità: le forze dell’ordine e in particolare la Guardia di Finanza e anche i Carabinieri.

C’è stata invece la responsabilità di un certo tipo di magistratura che soprattutto in passato ha sottovalutato la contraffazione, considerandola un reato minore. C’è anche la responsabilità delle imprese, che investono poco nella security aziendale, nella ricerca di misure anticontraffazione, nel ricorso agli ologrammi, perché sono misure che costano. Costa anche il security manager, una figura che poche aziende hanno.

E c’è anche la responsabilità dei consumatori: da uno studio della Camera di Commercio di Milano emerge che 7 persone su 10 hanno comprato almeno una volta nella vita un prodotto da un venditore abusivo. Occorre dunque lavorare sulla cultura della legalità: noi ci proviamo come Confcommercio con la giornata di mobilitazione nazionale “Legalità mi piace”, in programma per il 26 novembre e a cui parteciperà il ministro Alfano.

Quello della contraffazione va approcciato come un fenomeno di filiera, con un’azione di intelligence a tutti i livelli, dal produttore ai centri di smistamento, sino alla repressione con il sequestro dei capi. Sappiamo che è molto difficile, ma servono un forte controllo e repressione sul territorio perché in linea teorica più sequestri si fanno e meno diventa profittevole la produzione del falso. Anche il cittadino va sensibilizzato ed educato, se necessario attraverso le sanzioni, che però devono essere ragionevoli.

Il mercato della moda, la crisi e il Governo Renzi

Oggi i consumi sono fermi e si sono affermate nuove forme di distribuzione che noi contrastiamo: gli
outlet, ma anche i temporary store. Non troviamo dignitosi negozi in cui si vende la moda a peso da chi, dopo aver smerciato uno stock, dopo due mesi se ne va senza alcuna garanzia per il consumatore.

E poi c’è Internet, un fenomeno che non si può fermare ma che necessita di regole, soprattutto per i rischi grandissimi di contraffazione. Sempre sul web si gioca un aspetto importante tra noi e i nostri fornitori, che vendono on line ma con commissioni più vantaggiose delle nostre. E anche dal punti di vista fiscale non ci sono vantaggi per il nostro Paese dalla vendita sul web.

Quanto al mercato della moda, indicazioni preziose ci vengono ogni anno dal Fashion Report, elaborato sulla base di vari indicatori, dai dati relativi alle spese con carte di credito alla mortalità delle imprese.
Nel 2013 abbiamo chiuso con un calo del 7% delle vendite e per i primi sei mesi di quest’anno siamo al -3%: una lieve diminuzione in un trend che però resta negativo.

Va male per le pelletterie, un po’ meglio per l’abbigliamento. Il migliore di tutti i settori, con una crescita del 3%, è quello degli accessori, che consentono di rinnovare il guardaroba con la minima spesa.

Il nostro comparto presenta un saldo negativo di 6.500 aziende: un dramma anche sul piano occupazionale, con almeno 15mila posti di lavoro persi.

Non siamo dei gufi: i dati sono questi.

Nel 2013 abbiamo 500mila disoccupati in più. Speriamo che serva a qualcosa il Jobs act, che per Confcommercio ha contenuti interessanti, ma sia chiaro che il lavoro non si crea perché si fa la legge per il lavoro, ma perché si pongono le condizioni per lo sviluppo delle imprese. Non è che perché i primi tre anni sono detassati che io assumo nuovo personale: non assumo perché non c’è lavoro. E non c’è lavoro perché non ci sono i consumi. Dunque è essenziale creare le condizioni affinché la gente riprenda a consumare.

La disoccupazione, in particolare quella giovanile, è un dramma sulla cui responsabilità ognuno dovrebbe riflettere. Il 25% delle famiglie italiane vive in difficoltà economica, il 15% addirittura in autentica povertà e il loro numero è in aumento, come certificato da Censis e Istat. E non chiamiamoli incapienti: sono poveri, anche se questo irrita le nostre coscienze.

La nostra economia per due volte consecutive è in deflazione e la pressione fiscale sulle imprese è pari al 65%, come indicato dal rapporto Bankitalia. Come si può pensare che le imprese in questa situazione andare avanti?

Il giudizio sul Governo Renzi la Confcommercio lo darà più avanti. Per ora possiamo dire che il Piano del lavoro ci ha convinto, che l’idea degli ottanta euro è buona anche se non ha dato subito i risultati che ci si aspettava. Questo avviene perché le persone sono preoccupate e li risparmiano, non li spendono oppure li usano per le spese che nel frattempo sono aumentate, come bollette, assicurazioni, costi sanitari.
La detassazione del lavoro rispetto all’Irap è una grande manovra dal dal punto di vista della pressione fiscale: va corretta però la distorsione per chi non ha dipendenti, ovvero le tantissime imprese individuali la cui aliquota sale dal 3,5 al 3,9% e questo è un errore.
Perplessità anche per l’anticipo Tfr: non dovrebbe costare nulla alle imprese, ma come fidarsi? È un anno che stiamo lavorando su un tavolo con l’Abi promosso dal Governo Monti per trovare un tetto massimo di commissioni per le carte di credito dopo l’introduzione dell’obbligatorietà, ma senza arrivare a nessun risultato. Le rassicurazioni generiche non mi convincono.

No anche ai previsti aumenti dell’Iva tra il 2016 e il 2018: 3 punti dal 10% al 13% e 3,5 punti dal 22% al 22,5%. Avremo così il record europeo sulla tassazione sui consumi: peggio di noi solo l’Ungheria. E questo indirizzo non sarebbe conforme alla “più grande e straordinaria riduzione delle imposte” annunciata da Renzi. Se il Governo procederà su questa strada noi reagiremo con una forte protesta, e vogliamo anche che nei negozi venga esposto un cartellino da cui emerga con chiarezza agli occhi del consumatore quale è il prezzo base e quanto incide l’Iva.

Bene fa il Governo, invece, a invitare l’Unione Europea a cambiare indirizzo: la politica di rigore deve cessare, i vincoli vanno allentati.

Permangono dunque forti preoccupazioni, ma incoraggiamo il Governo ad andare avanti. Sono convinto che il nostro destino non sia la crisi per sempre: come ci insegna la storia economica, tutte le crisi prima o poi finiscono. E poi credo che, al netto giudizi e critiche, la spinta e l’energia che mette il Premier sia importante per superare certi blocchi e certe resistenze che ci sono nel nostro Paese. Con i dovuti distinguo, però.

Sulla liberalizzazione degli orari dei negozi, ad esempio, la nostra non è una resistenza ottusa: siamo convinti che non debba essere selvaggia per questioni anche culturali, di qualità della vita delle persone.
Ora si sta lavorando alla proposta, che ci appare ragionevole, di dodici aperture festive. D’altronde l’esperienza di questi anni ha chiarito che la deregulation non è la salvezza nè la soluzione.
Cosa fare dunque? Occorre resistere e cercare di avere una maggior collaborazione della filiera, ovvero dei produttori rispetto agli oltre 30mila negozi che ci sono in Italia e che hanno fatto la loro fortuna. Le aziende di produzione hanno scelto negli ultimi vent’anni di de localizzare: noi però non abbiamo visto alcuna riduzione dei listini, ma al contrario un aumento dei loro margini. Ci vuole una maggiore collaborazione da parte loro: noi questo lo chiederemo con forza.

Oggi, dopo aver perso rilevanti quota di mercato a partire dagli anni Ottanta, siamo arrivati allo zoccolo duro: in Italia siamo al 35 per cento come dettaglio indipendente plurimarca, il dato più alto d’Europa. Sono le aziende che hanno saputo resistere alla crisi e che dunque possono andare avanti, perché hanno il desiderio e l’energia.

È importante che il Governo ci ascolti, assieme alle parti sociali, che sono state anch’esse artefici del successo dell’Italia. Perché altrimenti il Paese lo si comanda, ma non lo si governa.

Categorie:  Abbigliamento, calzature e pelletteria
Federmoda Mantova

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