In 12 anni persi in centro storico 45 negozi. "Serve un piano nazionale per la rigenerazione urbana e una riforma fiscale complessiva"

20/02/2020

In Italia tra il 2008 e il 2019 il numero di esercizi di commercio al dettaglio in sede fissa è diminuito del 12,1%, pari a circa 70mila in meno. Un calo medio che "nasconde" varie tendenze, come la forte diminuzione degli ambulanti (-14%) e l'aumento di alberghi, bar e ristoranti (+16,5%).

I dati sono contenuti nell'analisi "Demografia d'impresa nelle città italiane", realizzato dall'Ufficio Studi di Confcommercio prendendo in considerazione 120 Comuni italiani. Ne emerge anche che sono i centri storici a soffrire di più (-14,3% contro l’11,3%), in particolare al Centro Sud (-15,3%), con però alcune eccezioni (Siracusa, Pisa).

Dal 2015, comunque, con il leggero miglioramento dell’economia dopo la lunga crisi c’è una piccola ripresa, che rispecchia d’altra parte il cambiamento delle scelte di consumo: aumentano infatti farmacie e negozi di pc e telefonia, e diminuiscono i negozi tradizionali. Da notare, infine, come la desertificazione commerciale generi disagio sociale: la riduzione della partecipazione al voto tra il 2014 e il 2019 che deriva dalla riduzione dei livelli di servizio commerciale è pari al 4%, ovvero due milioni di aventi diritto nel 2019.

E nella nostra città?
Dal 2008 al 2019, in 12 anni, in centro storico, si è passati da 337 esercizi di commercio al dettaglio a 292: si sono persi dunque 45 negozi (-13,35%); fuori dal perimetro più  centrale, sono scomparsi invece 68 negozi (si è passati da 297 a 229) pari al -22,89%.

Bene la performance di alberghi e pubblici esercizi, saliti in centro storico da 167 a 198 (+18,56) e in periferia da 169 a 199 (+17,75). A farla da padroni bar e ristoranti, con un aumento in centro storico a doppia cifra,  +20,8% (si è passati da 149 locali a 180) e nell’hinterland da 154 a 167 (+8,44%). 

“Questa analisi certifica che la desertificazione commerciale e la parallela esplosione del settore food nei centri urbani è un fenomeno dalle dimensioni nazionali, addirittura globali – afferma Ercole Montanari, presidente di Confcommercio Mantova - Ciò premesso, mal comune non è mezzo gaudio e la nostra città, così come l’intero territorio provinciale, parte svantaggiata a causa di pesanti ritardi, nodi infrastrutturali mai risolti, dimensioni contenute che non permettono, molte volte, di fare massa critica. Oggi lo stato di salute del commercio, a livello provinciale, regionale, nazionale, è altamente precario. Alzare la serranda la mattina portando sulle spalle uno zaino imbottito di macigni -  tassazione, crisi dei consumi, burocrazia, concorrenza dell’on-line, mancato passaggio generazionale, commercio che è stato letto come occupazione di rifugio favorendo l’improvvisazione imprenditoriale – è molto difficile”.

“Nell’outlook delle fiscalità e delle difficoltà del fare impresa nel 2020 – aggiunge il direttore Nicola Dal Dosso - l’Italia  si colloca al 128° posto su una graduatoria di 190 paesi, dopo il Mozambico. E’ necessario un piano nazionale per la rigenerazione urbana per migliorare la qualità della vita dei residenti e rendere i centri storici più attrattivi per i turisti. Bene, dunque, il ‘bonus facciate’ che va in questa direzione. Ma occorre anche un maggiore sostegno all’innovazione delle piccole superfici di vendita e, soprattutto, una riforma fiscale complessiva per abbassare le tasse e sostenere la domanda interna che vale l’80% del Pil”.
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