I numeri, prima di tutto: in Italia la pressione fiscale apparente (ovvero quella che si ottiene dividendo gettito e Pil) è al 45,2% (quinto posto tra i 35 Paesi Ocse) e negli ultimi dodici anni è aumentata del 3,4%, la percentuale di gran lunga più alta. Ma se si considera la pressione fiscale sui contribuenti in regola il dato sale addirittura al 54,8%, di gran lunga record mondiale assoluto (la Danimarca, seconda, è al 48,6%). Quanto all’economia sommersa, è al 17,5% del Pil (un altro record mondiale) anche se con leggera tendenza al calo, visto che nel 1998 era addirittura a un 20% tondo. L’Italia è invece in ultima posizione per quanto concerne le infrastrutture e i tempi di pagamento della P.A. e agli ultimissimi posti nelle classifiche dell’efficienza del quadro giuridico, del numero di giorni necessari per ottenere una sentenza definitiva in materia contrattuale, del numero di procedure giudiziarie per far rispettare un contratto, delle istituzioni e del tempo per gli adempimenti fiscali. I dati sono contenuti nella ricerca dell’Ufficio Studi Confcommercio “Sulle determinanti dell’economia sommersa”, che evidenzia come il nostro Paese sia detentore di record negativi. “Dallo studio – spiega il direttore di Confcommercio Mantova Nicola Dal Dosso – emerge che sommerso ed evasione non dipendono da una propensione genetica degli italiani, bensì da fattori puramente economici e sociali. Ovvero, dai gravi deficit di efficacia e di efficienza nei sistemi giudiziario e tributario, dalla bassa quantità e qualità dei servizi pubblici erogati, dai costi elevati e dalla difficoltà dell’adempimento spontaneo delle obbligazioni fiscali e, soprattutto, dalle troppo elevate pretese fiscali”. Lo studio ipotizza che se aumentasse dell’1% la facilità degli adempimenti fiscali, ad esempio, il sommerso calerebbe dello 0,5%, mentre ad ogni punto percentuale di riduzione delle aliquote corrisponderebbe una diminuzione di mezzo punto del sommerso stesso. “Con questi esempi non si vuole giustificare comportamenti di evasione, che sono un reato, ma riportare l’attenzione su quei fattori strutturali che favoriscono l’assunzione di tali comportamenti. Limitiamo questi a monte, e ridurremo il problema a valle”.